Comete
Bimestrale on line
Reg. Tribunale di Vicenza n. 1165 del 18 dicembre 2007
Editor e direttore responsabile Bianca Nardon
Redazione STEP Srl Contrà Porti, 3 Vicenza
Roberto Romizi - presidente
Patrizia Gentilini, Antonio Faggioli, Stefano Beccastrini
www.isde.it
L'appello dei medici, ricercatori e scienziati italiani per il controllo dei cambiamenti climatici alla 15a Conferenza delle Parti - COP15 di Copenaghen Dicembre 2009 è espressione unitaria del mondo scientifico italiano o rappresenta solo una parte del mondo medico? L'appello è stato sottoscritto a tutt'oggi da 336 rappresentanti prevalentemente del mondo medico ma anche da biologi, chimici, fisici e altri rappresentanti del mondo scientifico.
Roberto Romizi, presidente ISDE talia
Sono sottoscrittori che hanno un'appartenenza politica comune o trasversale? Non conosco l'eventuale appartenenza partitica dei sottoscrittori: presumo che sia (o comunque dovrebbe essere) trasversale, anche se queste tematiche sono di interesse spesso prevalente di una certa area politica (per esempio negli Stati Uniti i Repubblicani si stanno opponendo fortemente ad una presa di posizione sul clima del Presidente Obama).
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
La possibilità di far aumentare i medici aderenti all'appello dipende dalla vostra politica promozionale o c'è una resistenza della categoria a farsi carico delle tematiche ambientali? La richiesta di adesione all'appello è stata diffusa prevalentemente attraverso la nostra ISDE News. Benché abbia ravvisato una sensibilità diffusa all'interno di tutta la categoria medica rispetto alle tematiche ambientali, in realtà poi ottenere prese di posizione è un po' più complicato: ci sono sempre dei distinguo.
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
In ISDE sono coinvolti soprattuto medici che si occupano di campi correlati alla salute ambientale (ad es. medicina del lavoro) o specialisti di vario tipo? Apparentemente i medici igienisti e i medici del lavoro dovrebbero essere quelli più facilmente da coinvolgere, ma proprio perché se ne occupano professionalmente sono spesso "vincolati" alle strategie delle proprie istituzioni ed hanno una certa difficoltà ad esplicitare le loro convinzioni. Viceversa la maggior parte degli aderenti all'ISDE Italia sono pediatri e medici di famiglia, anche se tutte le branche mediche sono rappresentate.
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
La riconversione dei problemi ambientali dipende più dal supporto della tecnologia o dalla radicalità degli atteggiamenti e dei sacrifici che dovremmo affrontare per un cambiamento delle nostre abitudini? Questa è una delle questioni su cui mi piace provocatoriamente confrontarmi. Il progresso tecnologico risolverà tutti i problemi? Ebbene le buone pratiche concernenti il Primo Mondo (della serie migliorare il parco macchine, ridurre l'uso di pesticidi, insegnare alle mamme a mettere i detersivi sull'armadio perché così il bambino non lo può bere con facilità, ambulatorio verde, ...) sono utili, ma non sufficienti. Quelle relative al Terzo Mondo assolutamente inapplicabili perché la vera causa è lo sfruttamento (che va ad inasprirsi e non a migliorare). Lo sviluppo sostenibile rischia di diventare arma semantica. Il problema dell'economia è aumentare la produzione per accrescere l'offerta di beni e tentare di soddisfare i bisogni. Beni e bisogni non sono però infiniti. La produzione è sufficiente e vanno ridotti i consumi. Bisogna fermare la crescita materiale definita come aumento continuo dei beni prodotti con lo sfruttamento e la degradazione delle risorse della biosfera. Il livello di consumo materiale è enorme ed esercita una pressione eccessiva sulla biosfera. Per questo mi sento di sostenere la "Società della Decrescita". E' una società "sobria per scelta" dove: lavorare di meno per vivere meglio; consumare meno ma meglio; produrre meno rifiuti e riciclare di più. Si tratta, in breve: di ritrovare il senso della misura e di un'impronta ecologica sostenibile; di inventarsi la felicità nella convivialità piuttosto che nell'accumulazione frenetica. E' una rivoluzione culturale. Il progetto di una società della decrescita è radicalmente diverso dalla decrescita negativa: un conto è scegliere la decrescita, altro è subirla. Un rallentamento della crescita non voluto determina disoccupazione, divario sempre maggiore tra ricchi e poveri, abbandono dei programmi sociali, sanitari, educativi, culturali e ambientali. Il nostro impegno di medici non può arrestarsi su di un'opera di contenimento e riparazione dei danni diretti e immediati dei contaminanti ambientali, ma deve anche proiettarsi su un'azione a monte di più ampio respiro, affinché la società nella quale viviamo modifichi le sue priorità in favore principalmente della salvaguardia della salute dei bambini di oggi e delle generazioni future. Invece di accettare una società basata sul mito della crescita economica, è possibile pensare a uno sviluppo che dia priorità alla qualità della vita e all'equità sociale, ponendo il mantenimento della salute al di sopra dell'interesse economico. E' una rivoluzione culturale.
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
Esistono particolari azioni di ISDE internazionale in vista del vertice di Copenhagen? Una delegazione dell'ISDE Internazionale sarà presente.
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
La categoria dei medici può, per le tematiche ambientali, esercitare un ruolo di orientamento dell'opinione pubblica? Si, se i medici sono coerenti con il significato più profondo della loro professione e con il loro codice deontologico (art. 5 ed art. 30) essi sono certamente un punto di riferimento di assoluta importanza per il cittadino. Ormai la percezione che il degrado e l'inquinamento dell'ambiente sono ubiquitari e che ciò condiziona la nostra salute e quella dei nostri figli è la motivazione più forte che può unire le persone ed il collante migliore per superare barriere ideologiche e mentali. Dal momento poi che la salute è certamente il bene più prezioso e che il medico rimane la figura di riferimento a questo proposito, è ovvio che le persone siano portate ad avere fiducia nel proprio medico e ad ascoltarlo anche quando egli prende posizione su tematiche ambientali, specie se queste condizionano, più o meno direttamente, il nostro stato di salute/malattia. Proprio perché sta crollando la fiducia nelle istituzioni, negli organismi che dovrebbero sorvegliare (ad. le ARPA) ed ancor più nei politici, i cittadini cercano l'appoggio ed il parere dei medici. Tutto ciò investe il medico di una grande responsabilità, in quanto egli potrebbe anche, approfittando della fiducia delle persone e della propria autorevolezza, sminuire i rischi ambientali, avvallare scelte che recano profitto a pochi a scapito della salute di tutti, tradire insomma ancora una volta i cittadini e venir meno al mandato del proprio ruolo, tutte cose che purtroppo non di rado si verificano. La salute è un bene che va al di là di qualunque colore politico, ma per essere degni della fiducia delle persone - dati gli esempi deleteri e gli scandali da cui siamo circondati- bisogna essere di una assoluta trasparenza e non bisogna temere di farsi dei nemici. E' ormai chiaro, infatti, che i medici che si mettono davvero dalla parte dei cittadini e dell'ambiente hanno ben pochi alleati specie fra coloro che vedono l'ambiente e la natura solo come una opportunità di business. Parlare di prevenzione primaria e di riduzione/eliminazione degli inquinanti vuol dire opporsi a questo dissennato sistema che vede solo il profitto e che genera inquinamento e malattie, vuol dire orientare le persone verso il risparmio delle risorse, non verso il loro spreco (e questo vale per tutti i settori, materia, acqua, rifiuti, energia, trasporti...) vuol dire non consumare farmaci e andare quindi contro gli interessi di big-pharma. Di fatto la cartina di tornasole quando si fanno vere battaglie in difesa dell'ambiente e della salute è che mai o quasi mai si trovano sponsor!
Patrizia Gentilini, Giunta Esecutiva ISDE Italia
Nell'Appello dei Medici, ricercatori e scienziati italiani per il controllo dei cambiamenti climatici alla 15a Conferenza delle Parti - COP15, Copenaghen Dicembre 2009 è scritto: tempo per evitare la catastrofe ambientale fisica e chimica, degli ecosistemi biologici e dei singoli organismi viventi, quindi il collasso della Terra, è stimato in 5-10 anni, nei quali diviene necessario ridurre le emissioni carboniche e stabilizzarne la concentrazione. Si tratta di un'affermazione precisa che prevede tempi molto stretti per poter fronteggiare uno stato di gravità irreversibile. Il tempo di 5-10 anni è quello ritenuto necessario per contenere le crescenti concentrazioni di CO2 in atmosfera entro la soglia critica di 450 ppm, cui corrisponde un aumento della temperatura di +2°C rispetto all'epoca preindustriale (anno 1750), onde evitare l'inizio di danni irreversibili ritenuti probabili entro la fine del XXI secolo. La strategia promossa dall'UE il 9 Marzo 2007 con il "pacchetto clima" (20 - 20 - 20), da attuare entro il 2020, potrà contribuire a raggiungere il suddetto obiettivo. Si rende poi necessario un periodo fino al 2050, per stabilizzare la concentrazione a 450 ppm, tramite una riduzione delle emissioni rispetto al 1990 pari al 50% a livello mondiale e all'80% nei Paesi ricchi. Da queste stime deriva l'arco di tempo decennale per una scelta politica decisiva a livello mondiale. A tale proposito si veda: - Jenny Griffith et alii. Ten pratical actions for doctors to combat climate change. BMJ 2008; 336:1507; - Jenny Griffith et alii. "The Health Practitioner's Guide to Climate Change". Earthscan Ltd 2009. Secondo Jan McEvans ("Obagreen", La Repubblica 18.11.2008), ci restano meno di 8 anni per cominciare a incidere sulle emissioni climalteranti. Il vero ostacolo sta nella mancanza di cooperazione internazionale, senza la quale ogni sforzo sarà vano. Sino a ora hanno dimostrato insufficiente disponibilità alla cooperazione sia i Paesi ricchi, che temono un rallentamento della crescita economica, sia quelli poveri, che non possono accettare strategie che ne penalizzano lo sviluppo. Un secondo ostacolo è dovuto alla mancata consapevolezza diffusa, tra i decisori politici, le istituzioni e le comunità, del superamento dei limiti naturali del Pianeta già iniziato nei primi anni '80, tanto che saranno necessari ancora 10 anni prima che le conseguenze siano evidenti per tutti e altri 10 anni prima che la realtà sia generalmente riconosciuta (Meadows Donella, Meadows Dennis, Randers Jorgen. "I nuovi limiti dello sviluppo". Oscar Saggi Mondatori, Milano 2006). Senza provvedimenti incisivi che inizino nel prossimo decennio, si stima che entro la fine del XXI secolo si avrà una concentrazione di 750 ppm CO2 equivalenti (oggi 430 ppm CO2 equivalenti, corrispondenti a 387 ppm di sola CO2), con un aumento della temperatura che andrà da 2°-3°C fino a 4°-5°C rispetto all'inizio dell'era industriale (anno 1850). Considerando i danni che i sistemi fisici e biologici del Pianeta stanno già subendo per un aumento di soli 0,8°C dal 1850, si ritiene necessario un limite di incremento della temperatura di +2°C, oltre il quale si inizia a entrare in una zona pericolosa non solo per il benessere umano, ma anche per la stabilità dei sistemi sociali, economici e produttivi (N. Stern. "Un piano per salvare il pianeta". Ed. Feltrinelli 2009). Infine il Quarto Rapporto IPCC 2007- "Sintesi per i decisori politici", Valencia Novembre 2007 - ha stimato un aumento della temperatura nel prossimo decennio di 0,2°C, qualora lo stato delle emissioni di CO2 resti invariato rispetto al 2007. Nel periodo 2090-2999, rispetto a quello 1980-1999, si considera probabile un aumento della temperatura da 1,8°C a 4,0°C, a seconda degli scenari di emissione dello SRES (Special Report on Emission Scenarios dell'IPCC). Ciò provocherebbe nel corso del XXI secolo radicali cambiamenti nel sistema climatico globale, negli ecosistemi e nella vita di tutte le forme viventi.
Antonio Faggioli, Giunta Esecutiva ISDE Italia
Nella Pianura Padana, zona con uno dei più elevati tassi di inquinamento atmosferico del pianeta, esiste un movimento culturale e un approccio mirato dei medici del territorio? Certamente i medici della pianura Padana, almeno quelli dell'Emilia Romagna, hanno mostrato di essere già sulla buona strada: basti ricordare la richiesta da parte del Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici che nel 2007 richiese la moratoria sulla costruzione di nuovi inceneritori. Inoltre in molte città sono proprio i medici che guidano movimenti di opinione che si oppongono a nuovi impianti o che fanno in prima persona battaglie legali: basti pensare all'esposto fatto a Modena contro l'ampliamento dell'inceneritore, a Parma dove grazie ai medici dell'ISDE si è arrivati anche di recente a partecipatissime manifestazioni di piazza, a Forlì ove fu fatto un atto notorio con 409 firme di medici che chiedevano di non procedere con il raddoppio di impianti di incenerimento ma di promuovere raccolta differenziata e riciclo. Insomma il panorama è variegato, ma manca ancora un' azione strategica comune ed efficace per una diffusione capillare delle informazioni, una sensibilizzazione diffusa e soprattutto una presa in carico adeguata dei problemi, anche se sempre più crescono le aspettative dei cittadini nei confronti della nostra categoria per una efficace tutela della loro salute.
Patrizia Gentilini, Giunta Esecutiva ISDE Italia
Quello di cui pare esserci bisogno è una coralità e trasversalità di intenti da parte di diverse categorie professionali, da quelle impegnate in ambiti scientifici a quelli tecnologici a quelli intellettuali. Le strategie di sopravvivenza presuppongono un approccio dell'uomo nel suo complesso. Con chi i medici potrebbero stringere un patto più efficace? ISDE ha stilato un Modello Integrato per la Salute, l'Ambiente e la Sostenibilità che è un po' il nostro "manifesto strategico".
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
Per un rafforzamento della coscienza collettiva sulle problematiche ambientali non bisognerebbe lavorare di più sulle relazioni tra medici e il mondo dei genitori, in particolare delle madri, o sulle relazioni con i giovani? Non c'è dubbio. Una delle prime progettualità che abbiamo attivato è stata "La scuola per una città sana e sostenibile". Più recentemente ci stiamo attivando specificatamente nei confronti delle donne, tenuto conto del rischio relativo all'origine transgenerazionale delle malattie (Programma Bentivoglio). Abbiamo anche svolto una serie di attività su Ambiente, Salute e Bambini
Roberto Romizi, presidente ISDE Italia
Una reazione frequente tra gli italiani adulti, quando vengono interpellati sul loro grado di preoccupazione per il pianeta, è la seguente: "Non sono molto preoccupato, credo che i problemi ambientali non coinvolgeranno i miei figli, forse la generazione successiva". Parrebbe un istinto di conservazione legato esclusivamente a noi stessi piuttosto che alla specie. O si può azzardare che, come per altri settori, sia una deresponsabilizzazione tutta italiana? Questo è veramente paradossale: se la gente si consola pensando che i problemi toccheranno non ai propri figli ma ai propri nipoti siamo davvero messi male...Credo però che proprio qui sia il nocciolo del nostro problema, l'avere - spero solo apparentemente- perso l' istinto di conservazione della specie, istinto che appartiene agli esseri viventi in quanto tali e che porta a garantire la prosecuzione della vita dei discendenti a scapito anche della propria. E' davvero paradossale che nelle ultime due generazioni si sia verificata quella che a me pare una sbornia collettiva, si sia perso il senso della realtà, si continui ad avvelenare ed impestare aria, acqua, terra senza preoccuparci di quello che troveranno i nostri figli e nipoti. Questo sentimento di responsabilità nei confronti delle generazioni future era la nota più presente e costante in Lorenzo Tomatis che già da decenni aveva chiara la deriva del nostro mondo e tutto ciò era fonte per lui di grandissimo turbamento. Viviamo in un modo frenetico (ora con crisi e disoccupazione anche con altri problemi) trascuriamo le cose che meriterebbero davvero il nostro tempo e la nostra attenzione, in primis la famiglia e lo stare insieme ai propri figli. Ci siamo illusi che il benessere economico fosse la cosa prioritaria da lasciare ai figli, ma ci siamo dimenticati che la cosa più importante di cui hanno bisogno è il nostro tempo, una rete di relazioni stabili, aria, acqua, cibo non impestati... tutte cose che con i soldi non si comprano. Ci dovrebbe davvero essere una grande rinascita spirituale e morale che ci facesse prendere coscienza che da questi problemi ne possiamo solo uscire collettivamente: questi dovrebbero essere i grandi temi della politica. Anche se il fenomeno della deresponsabilizzazione nel nostro paese è certamente più evidente, non si vedono grandi esempi nel mondo: forse anche su questo ha influito in senso negativo la globalizzazione. Patrizia Gentilini, Giunta Esecutiva ISDE Italia
Visti i possibili scenari di un vicino futuro, dai danni ambientali allo squilibrio tra aumento della popolazione e risorse, come vede la scelta consapevole di avere un figlio oggi? Credo che quando si genera un figlio oggi, come ieri, sia necessaria una buona dose di incoscienza. Per fortuna i bambini sono sempre nati e speriamo che continuino a nascere. Comunque non dimentichiamo che noi siamo sempre e comunque nella parte opulenta del mondo, oggi noi ci poniamo queste domande ma di fatto, da sempre i bambini continuano a nascere in condizioni limite, in guerra, in campi profughi, in Palestina e in Africa: che speranze ci sono già oggi per la maggior parte dei bambini del mondo? Fame, malattie, miseria, mancanza di istruzione. La differenza è che questi scenari che prima sembravano lontani cominciano a diventare qualcosa di concreto anche per noi e ci dobbiamo misurare con l'idea che i nostri figli e nipoti vivranno in condizioni più precarie e più difficili - da tutti i punti di vista - di quanto abbiamo vissuto noi. Ho la consapevole certezza che riusciremo a lasciare il mondo in condizioni peggiori di come l'abbiamo trovato: certamente più inquinato, più violento, meno solidale, meno equo. Abbiamo via via sprecato tante occasioni per rimediare e forse si salveranno solo coloro che avranno imparato a fare con poco, che sapranno arrangiarsi e che saranno in grado di coltivare un orto.
Patrizia Gentilini, Giunta Esecutiva ISDE Italia
Nel film inglese "The age of stupid" un "custode" dell'archivio delle nostre civiltà dà voce ad un gruppo di esseri umani sopravvissuti nel 2075 al degrado e alla catastrofe ambientale. La domanda fondamentale che questo custode rivolge a se stesso, in chiusura del film, è "Perché non abbiamo fatto qualcosa quando si poteva ancora fare?", riferendosi ad oggi. Il monologo si chiude con un'altra domanda: "Forse perché in fondo eravamo convinti che non valeva la pena essere salvati?". Cosa ne pensa? Il recentissimo docu-filmThe Age of Stupid di Fanny Armstrong (definito dall'autorevole giornale inglese, The Guardian, "la prima drammatizzazione di successo sui cambiamenti climatici per raggiungere il grande schermo") si colloca nelle migliori tradizioni anglosassoni di una fantascienza cinematografica che sa essere anche fantapolitica e stimolare nel pubblico una riflessione sulle paure dell'oggi e sulle prospettive spesso angoscianti del domani. Anni fa era la guerra atomica, il timore dell'Altro, la paranoia della distruzione nucleare a spargere terrore nel mondo occidentale e ad essere espresso dal cinema o almeno da quello più attento ai problemi sociali della nostra epoca. Ma anche in quel caso, la maggior parte dei cittadini del mondo era passivo, delegava tutte le decisioni ai rispettivi governi, diciamo che aveva paura ma forse non abbastanza, ma forse pensando che altri avrebbero trovato una via d'uscita, ma forse cercando di illudersi che alla fine la via d'uscita si sarebbe trovata e la distruzione nucleare del mondo non sarebbe avvenuta. Del resto, effettivamente, è andata così, pur al prezzo di altissime spese e altissime angosce per tutti. Oggi non è più la paura atomica (peraltro tuttora presente, nelle sue applicazioni militari e civili) a spaventare la gente ma quella legata al cambiamento climatico, ovvero al "global warming". The Age of Stupid, promosso anche dal WWF, è un docu-film ben fatto, dalle chiare ed efficaci idee ecologiche e politiche. Si colloca in un filone, cui appartiene anche il documentario girato l'anno scorso da Al Gore, che tenta, con grande sensibilità ecopolitica e grande volontà cinepedagogica, di chiamare gli spettatori del mondo a una presa di coscienza, a un ruolo attivo, a una diretta chiamata in causa. Speriamo che trovi ascolto. Il lavoro educativo, anche cinematografico, su questi temi ha bisogno di tempo: le menti non si aprono con la facilità di una porta. La contraddizione è questa: Il problema è drammaticamente urgente, i processi per convincere ed educare la gente sono lenti e faticosi. Noi di ISDE lo sappiamo bene. Però ci sono tendenze nuove e interessanti, di cui abbiamo sentore e testimonianza. Qualcosa forse va cambiando. Lentamente, troppo lentamente. D'altra parte, così va il mondo, da secoli, da millenni. Soltanto che oggi ne va della stessa sopravvivenza della specie, dello stesso equilibrio bio-ecologico del Pianeta. La sfida è aperta. Noi ci siamo dentro con impegno morale e scientifico. L'errore da non fare è quello di pensare che la gente non risponda perchè è stupida. Considerare stupidi i propri allievi, quando non capiscono le cose che diciamo loro, è il modo più diffuso con cui si manifesta un pessimo insegnante.
Stefano Beccastrini, Albo degli Esperti ISDE "Ambiente, Salute e Cinema"