Comete
Bimestrale on line
Reg. Tribunale di Vicenza n. 1165 del 18 dicembre 2007
Editor e direttore responsabile Bianca Nardon
Redazione STEP Srl Contrà Porti, 3 Vicenza
Presidente di Marsilio Editori
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Quanto conta e come è cambiato nel tempo il rapporto con il territorio del Nord Est italiano da parte di Marsilio Editori?
Ognuno nasce e cresce in un certo luogo e un certo ambiente e questo ha una grande influenza sia in positivo sia in negativo. E' indispensabile avere i piedi per terra, ma, al contrario, è importante che la testa non vi stia, tanto più in questo momento di grande e complessa evoluzione del mercato e della globalizzazione, guai cioè a chiudersi dentro un confine.
Quando siamo partiti, circa cinquant'anni fa, abbiamo dovuto superare problemi di tipo pratico, dai rapporti con il sistema bancario a quelli con il sistema postale veneziano che non riuscivano ad adeguare i loro strumenti ad un'impresa unica nel suo genere in questo territorio, sia per tipologia sia per dimensione, com'era la nostra. Un altro problema qui è la scarsità di personale con una competenza adeguata. Il novanta per cento delle persone che hanno lavorato con Marsilio sono state formate all'interno della casa editrice. Per trovare qualcuno con esperienza è necessario rivolgersi fuori.
E' anche vero però che il Veneto è il luogo in cui la tradizione editoriale è la più antica d'Europa. Non viviamo ai margini, siamo in un centro e questo rende le relazioni tutte più semplici. Qui le radici e i legami con il territorio sono complessivamente più un'opportunità che un limite. Si può allentare il peso che le radici hanno nella nostra esperienza, ma con il rischio di perdere qualcosa. ll possedere una tradizione e un passato condiviso ha un suo valore, tanto più nelle discipline umanistiche.
Dal punto della produzione libraria, naturalmente gran parte della tradizione intellettuale, creativa, artistica veneta e del Nord Est arriva qui. L'avere radici però non si lega tanto allo scegliere i libri o all'essere autoreferenziali. Non a caso il nostro best seller è una trilogia di gialli svedesi (Stieg Larsson) e questo testimonia che per fare questo mestiere stare qui o altrove è indifferente. Avere sede a Milano ci permetterebbe di incontrare con più continuità il resto del mondo editoriale, saremmo più aggiornati su ciò che accade al suo interno, ma allo stesso tempo, in questo modo, ne siamo meno influenzati. Qui incontriamo il mondo accademico, quello dell'arte e della cultura locale e abbiamo relazioni con moltissime istituzioni del territorio. Ciò che è diverso sono le frequentazioni, una ricchezza di competenze e di cultura di un certo tipo.
Quando ero giovane mi consigliavano di andarmene, come hanno fatto altri, perché qui molte opportunità erano assenti. Una volta risolti i problemi pratici iniziali, abbiamo però scalato il mondo editoriale italiano, arrivando non alla testa, ma vicino. Io considero in qualche modo la fedeltà, e mi riferisco in particolare alla gente che lavora con me da anni, un valore. Abbiamo fatto molta strada. L'esperienza in comune ci ha insegnato molte cose e il condividere i problemi mi pare una ricchezza. Poi certamente per fare bene questo lavoro bisogna saper mescolare tradizione e innovazione.
I tentativi di rappresentazione narrativa del Nord Est prodotti fino ad oggi sono riusciti nel loro intento secondo lei e in che misura?
Sicuramente sì. Nel secondo '900, soprattutto negli anni '50 e '60 abbiamo avuto qui una parte importante della produzione letteraria italiana: Comisso, Parise, e altri autori fino a Camon, sono una ricchezza e un patrimonio importante di conoscenza di un mondo che perdeva delle forme identitarie e stava subendo delle trasformazioni radicali. Poi c'è stato uno iato, negli anni '70 ci siamo illusi che era meglio usare la scienza rispetto alla letteratura e all'arte per capire il mondo e l'uomo, ci siamo affidati alle cosiddette "scienze umane", ad esempio alla sociologia e all'antropologia. Si tratta di strumenti parziali di analisi della realtà, molto ambigui nei risultati, ma eravamo presi dall'ebbrezza di queste nuove discipline. Già alla fine degli anni sessanta la letteratura era diventata una cosa che al massimo era in grado di riflettere solo su se stessa. Le si imputava la difficoltà di acquisire autorevolezza nella rappresentazione, mi riferisco in particolare alla neoavanguardia. La mia generazione quindi non ha grandi scrittori. Nei primi anni ottanta ricominciano alcuni autori: Bettin, Palandri, Boccalon. Escono dall'esperienza sociologica, ma si stufano della mera ricerca, sentono il bisogno di rappresentare un quadro più ampio e più ricco di emozioni, di sentimenti, di memorie, di elementi che la sociologia in genere tralascia. Sono perlopiù persone che fanno esperienze eccentriche, effettuano perlustrazioni ai bordi e ai margini della società. C'è stata una ripresa anche con Tondelli che, nella sua attività maieutica, ha individuato degli scrittori in questo territorio. Gli anni ottanta sono ricordati un po' come gli anni della restaurazione, in cui esce Il nome della rosa di Umberto Eco, un prodotto letterario a se stante. Ma gli autori più giovani di quel periodo hanno un diverso bisogno di autobiografia e di autoaffermazione che brucia loro dentro. Sono un po' dei figli del giorno dopo. E' come se ci fosse stata una frattura: gli eventi sono stati molteplici, dal terrorismo alla crisi petrolifera, alla crisi economica, fino al tramonto del comunismo a fine anni '80. Ci si rende conto che davvero cambiano gli assetti geopolitici e le carte geografiche. In questi anni matura una generazione che ha una discontinuità con il passato. Si crea in loro un'idea di "ricominciamento", come se ci fosse stato un terremoto e fosse iniziata la ricostruzione. Dentro un quadro mondiale di cambiamento qui lo stravolgimento si è rivelato ancora più forte. Ha riguardato la struttura economica e produttiva italiana e tutto ciò che ci circondava, dai sentimenti alle relazioni, ai beni materiali. Gli scrittori Bozzi, Bugaro, Franzoso, Bettin, Covacich, Villalta, e altri che hanno iniziato a scrivere a metà degli anni ottanta, sono già Nord Est. Oggi ormai hanno vent'anni di storia alle loro spalle e sono affermati. Sono circa una quindicina di autori che hanno sentito lo strappo, in positivo come un elemento di liberazione e in negativo perché, ad esempio, a due passi da noi c'è stata la guerra in Yugoslavia. Sono stati messi in crisi valori che pensavamo fermi. Anche la parte più pacifista di questo paese è stata messa in difficoltà sul tema dell'intervenire o no in casa d'altri. Questo evento ha poi portato l'immigrazione albanese, serba. Anche chi non è andato direttamente in quei luoghi ha visto ciò che era accaduto negli occhi di queste persone. A fine anni ottanta e primi anni novanta tutto ciò che è accaduto nell'Europa dell'Est e della Mitteleuropa ci ha toccato profondamente.
Nell'ambito di questa nuova letteratura che è quella dello strappo e che ha coinvolto tutta Italia, il gruppo che nasce qui ha affinità un po' più forti. Il cambiamento ha portato i veneti da emigranti e contadini allo sviluppo imprenditoriale e alla diffusione del benessere materiale. Questa rivoluzione ha portato delle conquiste, ma è stata anche costosa, soprattutto per il territorio. Gli autori descrivono la distruzione del paesaggio dell'Arcadia veneta e una terra che diventa disseminata di capannoni. Alla fine con difficoltà oggi si sta in parte riqualificando ciò che si è deturpato in quegli anni. Le costruzioni più recenti, anche di tipo industriale, sono per le linee e per i materiali, migliori di quelle di allora.
Se di cambiamenti e di riqualificazione si può parlare, questi sembrano avvenire con una tremenda lentezza.
Sì, c'è lentezza perché per fortuna viviamo in un sistema democratico. E la democrazia ha molti pregi, ma non quello dell'efficienza. Ne è un esempio il passante di Mestre. Ci sono voluti trent'anni per arrivare a farlo. Comunque credo che la lentezza sia una delle cose che ci salvano. La velocità è un mito tipicamente novecentesco ed è stato causa anche di disastri. Prendere tempo permette di pensare e ripensare e scartare una serie di idee che non reggono, che potevano inizialmente parere addirittura geniali, ma che invece sono poi destinate a cadere. Una delle caratteristiche fondamentali degli uomini è la capacità di trovare una soluzione ai propri problemi. Non sono così convinto che ci debba essere qualcuno che risolve i problemi di tutti. Ognuno trova dei modi per risolvere ciò che lo tocca da vicino, attraverso la propria capacità inventiva. Ad esempio l'urbanistica è una delle "scienze" umane utilizzate per risolvere dei problemi comuni, ma non si è rivelata molto efficace. Le città di cui si è programmata l'espansione in un certo modo si sono poi sviluppate assumendo forme diverse e imprevedibili.
I problemi ambientali richiedono però un approccio globale. Cosa ne pensa?
Sono problemi seri, ma vanno visti anche in modo distaccato. La scienza ambientale è come la medicina. E' inesatta e si basa soprattutto su modalità empiriche. Anche se i medici risolvono alcune problematiche, non possiamo affermare che essi sappiano come funziona l'uomo. Così è per la maggior parte della vita. Possiamo servirci dei consigli e dei suggerimenti che ci vengono dall'esperienza, ma non esiste un metodo scientifico per affrontarla. Tutti noi viviamo in un mondo in cui le varianti sono molte e resta molto di imprevedibile. Abbiamo pubblicato un libro (Idea di natura 13 scienziati a confronto - prefazione di Corrado Clini, a cura di Elio Cadelo)
in cui più scienziati cercano di dare un'idea di natura e ne risulta che essa non esiste. Gli scienziati offrono un punto di vista che ha un senso in quanto tale, solo se si guarda il mondo dalla loro posizione. Ma nessuno è in grado di stabilire da che punto di vista è meglio guardare il mondo. Bisogna essere equilibrati e avere una laicità nell'approccio.
Cosa replica a chi riconosce una nostra responsabilità generazionale e la necessità di una reazione più radicale di fronte all'aggravarsi di alcuni squilibri del pianeta?
Un giorno il mondo probabilmente si fermerà. E noi che possiamo farci? L'apocalisse ci deve fare così paura? L'atteggiamento nei confronti della natura deve essere molto pragmatico. Cosa significa comportarsi nel modo giusto o sbagliato? Il problema dell'arricchimento morale del nostro rapporto con gli altri e con il mondo è fondamentale, ma non lo è l'atteggiamento moralista. Giudico i verdi e gli ambientalisti dei moralisti, quindi degli stupidi. Non credo possano dire cosa si deve fare, se invece sono in grado di offrire uno spunto per riflettere su alcuni temi, possono svolgere una funzione utile.
Spesso gli adulti oggi dicono: "Non bisogna preoccuparsi eccessivamente. Gli effetti dei cambiamenti climatici probabilmente non coinvolgeranno i nostri figli, forse le generazioni successive". Cosa ne pensa?
E' un'affermazione egoistica, tendenzialmente un po' miope, ma in parte anche ragionevole. Dovrei soffrire io perché stiano bene quelli dopo? La risposta più sensata è dividere a metà il peso. Un mondo che conservasse tutto il suo passato, anche come memoria, non ce la farebbe. Non ci sarebbe spazio. Oggi viviamo in un rapporto complicato tra la memoria e l'oblio. Abbiamo un'idea di onnipotenza legata alla possibilità di memorizzare tutto. Internet ci dà questa illusione. Ogni anno escono in Italia almeno cinquantamila libri. Nella mia vita ne avrò letti circa trentamila, quindi ne sono rimasti fuori moltissimi. Avrebbero forse potuto contenere la verità o le ragioni della mia felicità? E allora? Ha senso porsi questa domanda? Anche con la natura bisogna avere lo stesso atteggiamento: non abbiamo salvato tutto, ma ne abbiamo salvata una parte.
Non ha senso quindi per lei la valutazione di uno sfruttamento smisurato delle risorse naturali?
"Troppo" è un concetto relativo. Anche in questo caso l'atteggiamento morale è necessario, mentre quello moralistico è dannoso. Sono convinto che si viva una volta sola e questo evita implicitamente la possibilità che l'uomo non commetta errori. La religione cristiana addirittura ci fa nascere già peccatori. La possibilità di essere uomini puri, almeno finché si è in vita, non esiste.
Rileva nella letteratura l'influenza del sentimento per un futuro incerto collegato all'accelerazione dei cambiamenti climatici?
Il tema della fine del mondo e della catastrofe imminente è molto presente. A primavera pubblicheremo il libro di una scrittrice torinese che racconta cosa può succedere in un mondo senz'acqua. Un paio d'anni fa Marco Franzoso ha scritto Edisol-M. Water Solubile, che ipotizza il 2070 a Chioggia (Venezia). Il problema è il grado di coscienza che le persone devono avere di tutto questo. Si racconta sempre qualcosa che si è vissuto, direttamente o indirettamente. La creazione letteraria viene dopo aver compreso ciò che si vuol comunicare e dopo aver trovato un modo di elaborare un inizio e una conclusione della storia.
Ci sono innovazioni tecnologiche che Marsilio ha adottato, in linea con un minore impatto ambientale? Come vede il confronto tra libro elettronico e su carta?
Non sono affatto convinto che la carta riciclata non inquini. Ci saranno mezzi sbiancanti sempre meno inquinanti, ma non totalmente sicuri. Nel frattempo le nostre esigenze di produzione sono in aumento e ogni anno si stampano sempre più libri. Non ci sono più lettori, semmai più scrittori, ma una volta metà del nostro sapere era affidato alla tradizione orale, anche per quel che riguarda gli insegnamenti più pratici del vivere quotidiano. Oggi invece scriviamo tutto e siamo preoccupati di perdere la memoria. Il mito di Alzheimer è uno dei grandi miti del nostro tempo, la smemoratezza o la rimozione, la paura della condanna all'oblio. Di conseguenza c'è sempre più bisogno di carta. Nella nostra casa editrice abbiamo introdotto l'abitudine fissa di utilizzare il retro dei fogli già usati per le bozze, evitando gli sprechi.
Per quel che riguarda Il libro elettronico credo che in alcuni settori specifici abbia già vinto. Stanno sparendo, ad esempio, le enciclopedie cartacee. Alcuni lavori sistematici, dalle biografie ai cataloghi, che si basano sulla gestione di banche dati, sono più adatti nella versione elettronica. Anche noi stiamo pensando di produrre un catalogo storico per i nostri cinquant'anni e pensiamo di crearlo unicamente in formato digitale. E' consultabile, aggiornabile, correggibile e lo possiamo rendere disponibile su Internet.
Ritiene che il romanzo abbia ancora bisogno di essere letto su carta?
Io stampo tutto ciò che mi arriva, prima di leggerlo. Probabilmente nel mio caso è una questione di età e di abitudine, ma ritengo anche che con la carta ci sia un rapporto diverso. Forse cambierà, ma credo siano cambiamenti lenti e non irreversibili.
La sua città, Venezia, finirà sotto acqua?
No, sono sempre stato un sostenitore del progetto Mose e credo che funzionerà.
Alcuni studi prevedono, come conseguenza dei cambiamenti climatici, un innalzamento del livello dei mari che coinvolgerebbe città storiche come Venezia, Londra, New York. Fantasie?
I livelli dei mari si alzano, si abbassano. Le maree dipendono da moltissimi fattori e le loro misurazioni sono sempre opinabili. Come possiamo affidarci ai metodi di misurazione? Abbiamo bisogno di certezze, ma viviamo in una dimensione in cui lo spazio e il tempo rendono tutto cangiante. Il mondo cambia continuamente. Un editore importante che ha tenuto un convegno a Venezia qualche anno fa, disse: "Il sistema più sicuro per sapere se un libro vende è stamparlo". Non potendo stamparli tutti, nel nostro lavoro possiamo solo affidarci al buon senso e alla fortuna.
Credo sia più interessante l'ingegneria dell'ecologia, in quanto la prima è una disciplina che mira a delle soluzioni possibili.
Per l'ambiente bisogna avere un'attenzione più generale: dalla natura all'uomo, dall'ambiente antropomorfo a quello edificato e alle sue concezioni più diverse. Il nostro grado di coscienza deve riguardare anche i nostri limiti. Significa capire la relatività della nostra sapienza. Pragmatismo e coscienza sono fondamentali. I cinesi non sono disponibili a ridurre l'emissione di CO2. Prima desiderano avere un minimo tenore di vita, poi casomai potranno pensarci. Permetterci di discutere su come abbassare le emissioni è un privilegio per noi che siamo già ricchi.
Uno dei libri che ha avuto maggiore audience all'ultima Fiera del Libro di Torino è stato "Ritorno alla terra" di Vandana Shiva, che propone un approccio radicale. Cosa ne pensa?
E' ideologia pura e moralismo. Rientra tra le opere dei Savonarola di oggi. A volte bisogna anche scrivere i libri con questi toni, per farsi sentire e per richiamare l'attenzione su alcuni temi. Ma non ci si può aspettare che abbiano un seguito o che cambino la vita delle persone. Sono delle prediche e spesso, in quanto tali, rimangono inascoltate o provocano reazioni contrarie.
C'è Dio nella sua vita?
Sicuramente sì. Io sono nipote di un pastore evangelico, mio nonno era un prete e fa parte della tradizione della mia vita. Sono però molto poco dogmatico. Dio è stato presente in molti modi, anche in chiave polemica in alcune scelte. Abolire Dio, e non mi riferisco alla religione, alla fede, o alla chiesa, tutti aspetti collegati, ma né necessari né convincenti, è supporre che l'aleatorietà abbia una razionalità. Oppure significa pensare che Dio si chiami natura o naturalismo e che la natura abbia una sua ragione, ma questa è una cosa che io non vedo. Ho molti dubbi sulla teoria di Darwin. La degenerazione dell'uomo è molto più vicina all'immagine biblica di quella dell'evoluzione. Dentro di noi c'è un ideale che è più bello e più perfetto di noi. Da dove venga non si sa, ma certamente non dall'esperienza, visto che la perfezione non è di questo mondo. Una forma di evoluzione c'è, ma ha dei momenti di discontinuità. E anche questi devono avere una loro ragion d'essere. Se fosse tutto aleatorio saremmo deresponsabilizzati. Invece cerchiamo delle cause, delle ragioni, delle leggi, delle interpretazioni. Il disegno del mondo avrà un punto di partenza? Sarà il Big Bang? E se così fosse, questo processo, mi viene da chiedermi, chi lo ha prodotto? Mi sembra più semplice convivere con coscienza e molta pragmaticità anche nei confronti di Dio.