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Comete
Bimestrale on line
Reg. Tribunale di Vicenza n. 1165 del 18 dicembre 2007
Editor e direttore responsabile Bianca Nardon
Redazione STEP Srl Contrà Porti, 3 Vicenza


Anno III n. 5 Marzo/Aprile 2009

Incontro con Serenella Iovino

Ricercatrice confermata e docente di filosofia morale
Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione
Università di Torino
www.unito.it

Presidente EASLCE
European Association for the Study
of Literature, Culture and Environmentl
www.easlce.eu

Autrice di
ECOLOGIA LETTERARIA. Una strategia di sopravvivenza.
Edizioni Ambiente 2006
www.edizioniambiente.it/eda/catalogo/libri/76/


"Ecologia letteraria" è il titolo di un suo libro. Di cosa si tratta?
L'ecologia non è solo una scienza, ma il pensiero dell'interconnessione dei fenomeni sullo sfondo di un ambiente. Questi fenomeni possono essere organismi viventi ma anche idee, culture, forme dell'immaginario. Gregory Bateson, epistemologo inglese, definisce "ecologia della mente" il processo di azioni reciproche che avviene tra le idee, e più in generale tra natura e cultura, tra idee e ambiente. L'ecologia letteraria è una forma di ecologia della mente. Essa rappresenta il tentativo di avvicinarsi ai testi proprio alla luce di un'idea di interdipendenza ecologica. Tra testo e mondo si crea un rapporto di azione e retroazione che investe più livelli: l'azione del mondo sul testo e, ancor di più, la possibile azione del testo sul mondo. Per l'ecologia letteraria tra natura e cultura esiste una relazione che non è solo di contiguità, ma di azione reciproca; e le opere letterarie possono avere la funzione di evocare i valori legati a questa reciprocità. Si tratta quindi di un'idea di letteratura e di cultura funzionale a un preciso intento etico-educativo. Nell'età della crisi ecologica infatti l'ecologia letteraria suppone che i testi narrativi, se letti in maniera "ecologicamente consapevole", possano "orientare" le interazioni tra esseri umani e natura (mondo umano e mondo non umano) e costituire uno strumento di educazione etico-ambientale. Questa lettura "ecologica" dei testi avviene all'interno di una metodologia interpretativa chiamata "ecocriticism", nata negli USA alla fine degli anni '80.

Come può la cultura contribuire a riconvertire il rapporto uomo-ambiente e in che senso è, come lei afferma, una "risposta evolutiva, una strategia vincente di sopravvivenza"?
Dopo Darwin, dire che la cultura sia una strategia evolutiva elaborata dalla specie umana è quasi un'ovvietà: le forme culturali, associative e performative, sono per l'essere umano uno strumento adattivo nell'incontro con l'ambiente e gli altri viventi. Tuttavia sarebbe quanto meno sospetto dire che la cultura, in generale, contribuisce alla nostra sopravvivenza o a salvare l'ambiente: anche la crisi ecologica, che minaccia il benessere e la sopravvivenza congiunti di umanità e natura, è frutto di precisi modelli culturali. Più corretto è dire che la cultura può essere una strategia di sopravvivenza se riesce essa stessa a evolvere i suoi modelli, ad autocorreggersi, a diventare lo strumento di una "evoluzione consapevole" dell'essere umano. Se infatti nell'evoluzione biologica in natura la selezione avviene fondamentalmente per fattori casuali, l'evoluzione culturale può operare una selezione intenzionale e consapevole di modelli che garantiscano maggiori probabilità di sopravvivenza rispetto ad altri, riconosciuti come distruttivi. La cultura ecologica vuole essere una "strategia di sopravvivenza", perché scaturisce dalla consapevolezza delle dinamiche materiali e culturali che minacciano questa sopravvivenza. è quindi un progetto di educazione etico-ambientale che parte da una premessa fondamentale: riconoscere la coappartenenza tra umano e non umano. Ciò implica sostituire modelli educativi basati sul dualismo e sulla competizione tra le forme di vita (secondo una prospettiva che si chiama antropocentrico-strumentalistica) a modelli educativi basati sull'orizzontalità, sull'interdipendenza, sulla complessità.

Può segnalare, oltre a quelli citati nel suo libro, degli esempi recenti di letteratura ecocritica?
Potenzialmente, ogni opera si presta a un'interpretazione ecocritica. In maniera esplicita o meno infatti ogni opera letteraria si rapporta storicamente o tematicamente al mondo fisico da cui scaturisce. La letteratura contemporanea, proprio perché nasce in un mondo toccato dalla crisi ecologica (che, è bene ricordarlo, è una crisi che investe gli equilibri naturali ma anche quelli sociali) può essere portatrice di un'aperta istanza politico-ambientale. Può cioè veicolare un messaggio di consapevolezza intorno al degrado ambientale, ai conflitti delle società industriali, al nostro rapporto con la natura non umana. Se guardiamo alla letteratura italiana, troviamo casi illustri e significativi: Calvino, ad esempio, che tra gli anni '50 e '60 scrive due racconti proto-ecologisti come La nuvola di smog e La speculazione edilizia, dipinge in Marcovaldo lo straniamento del protagonista di fronte a una natura "contraffatta", in fuga dalla città. O ancora, Giorgio Bassani, che da presidente di "Italia nostra" ci ha lasciato interessanti testimonianze sulla tutela del nostro paesaggio culturale e naturale (Italia da salvare). Sul versante poetico mi vengono in mente Eugenio Montale e Andrea Zanzotto (Dietro il paesaggio), due artisti attenti più che mai all'osmosi lirica tra il soggetto e il paesaggio, un paesaggio visto in tutte le sue modulazioni fisiche, storiche e vitali. Ma anche opere di autori non ancora "classici" possono rivestire un forte interesse in termini ecocritici. Pensiamo all'impatto di Gomorra di Roberto Saviano, un romanzo-réportage che ci illustra le dinamiche non solo sociali ma anche ambientali legate alle attività di una criminalità organizzata che, quando distrugge la salute del territorio e dei suoi abitanti, è senza dubbio una forma di ecomafia. E, parlando di ecomafia, penso che l'iniziativa congiunta delle Edizioni Ambiente di Milano e di Legambiente di dedicare una collana di noir a queste tematiche (VerdeNero) sia un interessante esempio di come la letteratura si possa fare veicolo di comunicazione sociale.

Nel suo testo fa riferimento a costituzioni di stati che prevedono, tra i diritti fondamentali, anche il diritto all'ambiente. Ci ricorda alcuni di questi paesi?
Mi vengono in mente un paio di esempi: la costituzione dell'Honduras, che parla della necessità di mantenere "un ambiente soddisfacente per la protezione della salute di ciascuno", e la costituzione della Corea del Sud, che dichiara come fondamentale il diritto a un "ambiente sano e confortevole". Anche la costituzione del Portogallo e quella del Brasile si soffermano sul diritto di ciascuno a un ambiente "sano ed equilibrato". è sempre necessario confrontare questi intenti di equilibrio ecologico con situazioni più o meno gravi di squilibrio sociale. Penso tuttavia che sancire come un principio costituzionale la salute dell'ambiente sia un enorme passo avanti anche per sanare i mali della società.

Ci può parlare delle forme di cambiamento ed evoluzione del concetto di "Dio" nell'ambito della riflessione sulla crisi ecologica? Esistono studi teologici specifici?
è noto che una delle questioni che hanno aperto il dibattito etico-ambientale fu una questione storico-religiosa: Lynn White, jr., medioevista americano, identificò (non solo provocatoriamente) le radici della crisi ecologica con la mentalità ebraico-cristiana. Io però non sono una studiosa di teologia, quindi non posso dare una risposta esaustiva alla sua domanda. Mi posso però limitare a ricordare la grande importanza di un pensatore come Leonardo Boff, teorico sudamericano della teologia della liberazione, per la rilettura in termini fortemente etici e sociali del vincolo tra terra, creatore e creatura. Il pensiero di Boff è improntato a un cristianesimo in cui il valore della solidarietà si rivolge non solo alle fasce diseredate e oppresse ma anche alla terra. è un cristianesimo della responsabilità ecologica, che supera il teo-antropocentrismo ebraico-cristiano in nome di una considerazione del valore intrinseco delle forme viventi non umane. Inoltre, all'interno di correnti di forte peso teorico come la deep ecology e l'ecofemminismo, si è naturalmente sviluppata una riflessione teologica. E di formazione teologica sono alcune figure di spicco del dibattito etico-ambientale, come per esempio Holmes Rolston III, che è un pastore presbiteriano (interessante notare che la prospettiva di Rolston è olistica e non antropocentrica). Va inoltre ricordato che nell'enciclica Centesimus Annus Giovanni Paolo II parla con sensibilità della "questione ecologica", definendo la distruzione dell'ambiente come frutto dell'"errore antropologico" della società dei consumi. Infine, com'è stato annunciato, anche la prossima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, farà convergere la riflessione teologica intorno a problemi di giustizia sociale globale, di redistribuzione delle risorse, di tutela dell'ambiente.

Lei afferma: "...La trasformazione può anche essere una trasformazione etico-culturale, basata sulla comprensione che il nostro intervento sugli equilibri della terra non si muove lungo un raggio lineare bensì circolare, e include tutte le forme di vita" . Il percorso di questo raggio "circolare" come viene tracciato?
Rispondere a questa domanda è un modo di sintetizzare il messaggio di Ecologia letteraria. Il senso del libro è infatti proprio quello di una cultura ecologica che in quanto tale metta in discussione, come suo primo principio, la preconcetta centralità dell'umano e di una certa autorappresentazione dell'umano: quella cioè che ci è consegnata dalla cultura occidentale. La cultura ecologica, che è un'evoluzione dell'umanesimo, estendendo al mondo naturale non umano gli attributi di valore, è di per sé inclusiva, anti-ideologica, orizzontale. Questo percorso circolare si traccia dunque semplicemente nel momento in cui l'umano rinuncia alla sua predominanza gerarchica e riconosce ciò che lo circonda (sia esso un paesaggio, un ecosistema, un animale non umano) come portatore di un valore che un umanesimo "evoluto" può e deve aiutarci a preservare.

Perché nel nostro paese, ma anche a livello mondiale, non si è ancora costituito un movimento trasversale alle diverse categorie sociali e ai vari centri di interesse, con una forte visibilità e in grado di sollecitare in modo più radicale e urgente l'impegno sui temi ambientali? Gli intellettuali dell'ecocriticism possono essere il motore di un movimento più incisivo, secondo lei?
L'Italia è fortemente in ritardo sull'alfabetizzazione ambientale. Il fatto che problemi ecologici (che nel nostro paese si associano in più anche al colossale giro di affari criminale che Legambiente definisce "ecomafia") non siano ancora chiaramente percepiti o riconosciuti, talvolta neanche a livello legislativo e penale, è il residuo di una mentalità obsoleta, ancora legata a un modello di sviluppo economico di corto respiro, certamente inadeguata a definire i reali costi sull'ambiente delle nostre attività. Però non sono affatto d'accordo sul fatto che non esiste o non sia esistito in Italia un "movimento trasversale", non necessariamente politico, di tutela dell'ambiente. Penso a figure come Laura Conti, medico, educatrice, ecologa milanese, e alle sue battaglie all'indomani di Seveso; ad Aurelio Peccei e alle attività fondamentali del Club di Roma, e a tutti i professionisti e gli studiosi (Gianni Mattioli, Giorgio Nebbia, Virginio Bettini, Massimo Scalia) che hanno animato dibattiti fondamentali alla nostra vita democratica (penso a quello sul nucleare, oggi ancora molto vivo e più attuale che mai). Il fatto che tutto ciò non sia visibile è un problema, autentico, di democrazia della comunicazione: la visibilità mediatica non è certo uno specchio neutrale degli eventi. In realtà basta spostare lo sguardo per vedere che è sempre più diffusa, soprattutto a livello locale (che è poi quello ecologicamente più interessante), un'attenzione "trasversale" per le condizioni di benessere delle comunità. La questione è un'altra: queste forme di "ecologismo trasversale" e "dal basso" riflettono comunque il grado di consapevolezza delle comunità o del paese in cui si collocano. Detto in altri termini: ne riflettono il livello di istruzione, di informazione e di alfabetizzazione, rispetto ai temi per cui ci si associa. Se in un paese non ci sono adeguati programmi di alfabetizzazione ambientale tutto ciò che succede è legato alla buona volontà dei singoli cittadini. Per fortuna oggi i canali di informazione e di auto-istruzione dei cittadini sono molteplici, e non si limitano a quelli istituzionali. Penso che la rete sia uno strumento fondamentale. Ma, ancora una volta, non è sufficiente e non si sostituisce ai canali tradizionali di istruzione. Sono quindi necessari dei programmi seri e capillari di educazione ecologica, che devono essere promossi come parte integrante della formazione del cittadino. E il fatto che ora non esistono non significa che questa assenza possa materialmente durare: ce lo impone questo momento storico, preludio a una fase in cui le risorse energetiche tradizionali saranno sempre più scarse e meno accessibili. Penso quindi che la necessità imporrà il cambio di mentalità. Anche qui, si tratterà di un mutamento evolutivo (stavolta quanto mai necessario) dei nostri modelli culturali. L'alternativa è l'estinzione. Quanto al ruolo degli intellettuali penso sia fondamentale. La cultura che sta dietro l'ecocritica prevede proprio questo tipo di educazione e di scolarizzazione, e per farlo si affida ai testi letterari. Gli ecocritici agiscono quasi sempre in un contesto interdisciplinare, e molto spesso sono coinvolti in movimenti attivisti e in progetti di tutela ambientale a vario livello. Quando hanno, come me, l'opportunità di avere ruoli accademici, portano avanti proprio questo discorso etico-educativo.

L'Italia detiene uno dei primati in Europa per lo scontro tra estetica del paesaggio naturale ed estetica dell'architettura. Mi riferisco soprattutto alle costruzioni degli anni '60 e '70, ma anche ad esempi più recenti che, nel caso del Nord Est, hanno trasformato intere aree regionali in una "metropoli diffusa" dall'aspetto desolante. Come si può riconiugare un'armonia del paesaggio? A chi possiamo affidare il compito di rieducarci alla "bellezza" e all' "equilibrio" delle forme?
La bruttezza (Pasolini direbbe l'"irrealtà") che dilaga nel nostro paesaggio scaturisce proprio da questi modelli culturali fallimentari. A cui corrisponde, nel nostro paese, una storia di scelte politiche ed economiche evidentemente non capaci di valorizzare la bellezza di un paesaggio culturale e naturale unico al mondo. Per recuperare un'estetica del paesaggio occorre un'etica del paesaggio. Occorre cioè percepire il paesaggio come valore (e magari arrivare alla valorizzazione anche economica della bellezza), e non farlo regredire a mero "spazio" in cui piazzare mere, inutili e brutte "cubature". La bellezza, per noi umani, è e deve essere riconosciuta come un valore ecologico. Essa però va ri-appresa. Bisogna rieducare alla bellezza, anche perché un ambiente bello è anche e soprattutto un ambiente sano. Un luogo in cui si vive meglio, in cui è desiderabile vivere, che è desiderabile visitare. Restituire la bellezza (e il senso della bellezza) alla cittadinanza è un'operazione di educazione civica alla felicità. Penso che questo sia il compito fondamentale di una classe dirigente degna di questo nome.




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